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L’occupazione partigiana della stazione ferroviaria di Spotorno casamaini.altervista.org/loccu
Esporsi fiancheggiando la Resistenza restava estremamente pericoloso per chiunque: la repressione non guardava in faccia a nessuno. Il 21 ottobre [1944], a Maddalena di Sassello, i “marò” fucilarono il parroco don Minetti, reo di aver aiutato i partigiani <105. Tra ottobre e novembre, prima di subire il rastrellamento che l’avrebbe

La forma di esproprio adottata contro gli ebrei era stata probabilmente ricalcata su un altro istituto già allora previsto dai codici collasgarba2.altervista.org/la
Premessa.La ricerca di cui intendo descrivere qui i primi risultati d’insieme è il proseguimento di un lavoro sull’applicazione delle leggi antiebraiche a Torino già pubblicato da tempo <1. In

Comunque il ’68, nel suo spot chiassoso e colorato, si è manifestato come evento radioso casamaini.altervista.org/comun
Il maggio ’68 è stato un passo più lungo della gamba, poi si sarebbe andati indietro, era ben difficile il proseguire in equilibrio, senza cadere (come per Legnano, per Little Big Horn, o per il P.C.I. nel ’76: è arduo gestire bene una vittoria inaspettata – anche se inaspettata solo per

Il “Chicago Tribune” tracciò il profilo dei due comunisti collasgarba2.altervista.org/il
Del resto, la strategia statunitense non implicava una chiusura totale al dialogo con i dirigenti del PCI, quanto che la discussione che fosse dettata e gestita sempre con i tempi e le modalità dettate dalle necessità politiche del governo federale. Il responsabile economico del PCI, Luciano Barca, raccontò che poco dopo il rifiuto del visto […]

La risicata maggioranza con cui viene eletto Leone si regge, in sostanza, sui voti decisivi del Msi casamaini.altervista.org/la-ri
Come emerso nel corso della trattazione relativa alla presidenza Saragat, gli anni ’70 rappresentano un periodo di forte crisi per il Paese sotto ogni punto di vista. Sul piano economico, terminata la fase di crescita, si attraversa una prima ondata di arresto: la

Buranello acconsente di fare il gappista «per disciplina» collasgarba2.altervista.org/bu
Il Partito comunista era l’unico [a Genova], seguito in ciò dal Partito d’azione, ad essere riuscito a conservare una seppur embrionale struttura organizzativa; il tutto all’interno del mondo operaio che, agli occhi dei giovani e imprudenti cospiratori, appariva invece inerme e sfiduciato. Gli studenti non potevano credere che i pericolosissimi

Ripresero le occupazioni di terre in tutto il Lazio

A livello di sistema agrario, nel Lazio prevaleva il latifondo: in particolare, nella provincia di Roma era diffusa quella che Antonio Cederna definì «un’agricoltura d’attesa», cioè un uso agricolo degli appezzamenti di terra in attesa di una destinazione speculativa dell’area. Di questi latifondi era principalmente proprietaria l’aristocrazia romana: i Torlonia, gli Odescalchi, i Boncompagni, la marchesa Sforza Cesarini. Come abbiamo visto, l’individuazione da parte del Pci di «200 famiglie» (nobili legati al Vaticano, agrari, industriali, gestori dei servizi pubblici che monopolizzavano a Roma il rifornimento dell’acqua, del gas, della luce elettrica e detenevano in pratica l’esclusiva degli appalti delle opere pubbliche, ecc.) era uno modo per poter «collegare le lotte per l’occupazione, per la salvaguardia e la riconversione delle industrie esistenti, per una nuova industrializzazione, con le lotte agrarie. L’intreccio tra potere politico ed economico, fra proprietà e speculazione, conduceva naturalmente alla grande proprietà assenteista, alla quale si contrapponevano braccianti, compartecipanti, contadini poveri» <953.
Fu questo il contesto in cui, nell’immediato dopoguerra, si svilupparono molte lotte contadine, che Gino Settimi, presidente dell’Alleanza provinciale dei contadini di Roma alla metà degli anni ’70, definì come «lotte rivendicative per soddisfare l’aspirazione secolare alla terra» che avevano anche «contenuti strutturali, volevano eliminare cioè i residui feudali. L’occupazione delle terre, le battaglie per l’equo canone, per la giusta causa permanente, quelle mezzadrili tendevano ad intaccare la struttura della proprietà terriera» <954.
Per tutto il 1949, in attesa delle iniziative di riforma agraria, la conflittualità nelle campagne fu crescente in tutto il Paese: in quello che è stato definito come l’anno dell’«assalto al latifondo» e della «riscossa contadina» <955, l’aspirazione del mondo contadino era la redistribuzione della terra, il superamento del latifondo e la diffusione della piccola proprietà <956. Tuttavia, come ha evidenziato lo storico Silvio Lanaro, queste lotte, per quanto diffuse in tutto il paese, avevano obiettivi – si andava dalla suddivisione del latifondo a una razionalizzazione delle colture che aumentasse le opportunità di lavoro, dalla riduzione dei canoni di affitto per i coloni alle assunzioni nelle imprese di bonifica – e forme di lotta diversi: non trovarono, quindi, un coordinamento unitario <957.
Nella prima metà del 1949, mentre tutti i braccianti e i lavoratori agricoli della penisola erano in agitazione, a Roma gli scioperi agrari ebbero un’adesione molto bassa e limitata principalmente alla zona di Maccarese <958: dei numerosi comizi organizzati dalla Federterra, molti andarono deserti.
Alla fine dell’ottobre 1949, gli eccidi di Melissa e di Isola Caporizzuto, in Calabria, fecero da denotatore a un nuovo ciclo di lotte contadine in tutta Italia, la cui estensione, probabilmente, non era stata prevista neanche dal Pci: i comunisti, anzi, furono colti di sorpresa da questa ondata di lotte, come ammise lo stesso Togliatti in una Direzione del partito del novembre 1949 <959. Come sottolineato dallo storico Aldo Agosti, questo movimento fu molto importante per l’affermazione di nuovi equilibri politici e sociali dell’Italia meridionale, dove non c’era stata la Resistenza, ma le lotte contadine rimasero separate da quelle operaie del Nord anche per l’incapacità del Pci di saldare le rispettive rivendicazioni <960.
Alla fine del novembre 1949 – e poi, soprattutto, nel mese successivo – ripresero le occupazioni di terre in tutto il Lazio, coinvolgendo così anche l’Agro Romano e alcune aree più vicine al centro cittadino. Con una comunicazione del 14 novembre, il prefetto di Roma Trinchero informò la questura della capitale della necessità di prendere “in seria considerazione il pericolo che vengano effettuati in questa Provincia tentativi di occupazioni di terre così dette incolte. Se si considera che in questa Provincia dopo il 1947 non si sono più avute occupazioni di terre e che il numero delle domande di concessioni è enormemente diminuito, appare evidente che il pericolo sopra accennato torna a riaffiorare in seguito agli incidenti verificatisi in Calabria e, quindi, per ragioni politiche e per effetto di una subdola opera di propaganda e di incitamento. Difatti “l’Unità” nella cronaca del Lazio n. 266, del 9 c.m., ha pubblicato un articolo “Terre incolte” a firma di Antonio Bongiorno, nuovo segretario della Confederterra Romana, con il quale si è impostata, fra l’altro, la situazione particolare delle così dette terre incolte in Provincia di Roma con informazioni e notizie inesatte, artatamente combinate e falsate allo scopo di preparare gli animi della massa alle eventuali, e forse prossime, lotte di lavoratori della terra contro i maggiori proprietari dell’Agro Romano. […] Sembra, poi, che presso la Federterra e la Camera confederale del Lavoro di Roma si svolgano riunioni di agitatori per l’organizzazione di una campagna diretta a provocare le occupazioni, che dovrebbero avere simultaneamente inizio in un determinato giorno in varie zone dell’Agro Romano e del restante territorio della Provincia, seguendo la tattica di far occupare limitate astensioni di terreno per ogni tenuta, costellando così di occupanti tutta la zona, per rendere ovviamente più difficoltoso, sotto ogni aspetto, l’intervento delle forze dell’ordine”. <961
In una circolare del 3 dicembre, Pòlito [n.d.r.: questore di Roma] affermò che, in conformità alle disposizioni della Confederterra di Roma, il giorno successivo avrebbero dovuto avere inizio le occupazioni di terre considerate incolte. Secondo Pòlito, la maggior parte delle invasioni sarebbero state effettuate da contadini provenienti dai comuni di Zagarolo, San Cesareo, Colonna, Montecompatri, Monteporzio, San Vito Romano, Pisoniano, Albano Laziale, Marino, Genzano, Grottaferrata, Lanuvio, Velletri, Rocca di Papa, Valmontone, Labico, Civitavecchia, Tolfa Allumiere, San Severa e Santa Marinella: coloro che non avevano terre da occupare nei propri comuni, si sarebbero recati in altre zone dell’Agro Romano e, in particolare per il comune di Roma, nella borgata di Torre Gaia (proprietà Grazioli, Cavazza, Ercolani) e al Divino Amore (tenuta Lanza). Oltre a queste tenute, nel Comune di Roma, secondo le notizie giunte in questura, si sarebbero volute occupare anche la tenuta in località Torre (frazione La Storta), la tenuta della principessa Hercolani in via Rocca Cencia altezza via Casilina km. 18 (oggi Borgata Finocchio), la tenuta del Duca Grazioli in località Osa (Osteria dell’Osa si trova oggi nella zona delle Torri) e la tenuta Vaccareccia del marchese Ferraioli, a Roma nord. In queste lotte, si evidenziò uno stretto rapporto tra Roma e la provincia. Come ha ricordato Aldo Tozzetti, “cosa avrebbero potuto fare questi contadini, lontani decine di chilometri dai loro paesi d’origine, senza la solidarietà attiva della popolazione di Roma? Tutte le notti venivano rastrellati dalla polizia, caricati sui camion, condotti a Roma e dispersi in varie parti della città. D’accordo con il movimento democratico, con le consulte popolari, i contadini si riunivano nella sezione Trionfale del partito comunista e la mattina dopo, a bordo di camion carichi anche di viveri e di coperte, tornavano sulle terre occupate”. <962
Le indicazioni di Pòlito per arginare queste possibili invasioni furono nette e decise a evitare episodi che potessero avere un’eco negativa nell’opinione pubblica: “Esperimenteranno, dapprima, accorta ed intelligente opera di persuasone per far desistere gli organizzatori ed i promotori da azioni illegali, avvertendoli della responsabilità penale cui vanno incontro. Ogni accorgimento dovrà adottarsi per scongiurare spiacevoli incidenti, che potrebbero essere sfruttati per finalità politiche. L’intervento in forza, in caso di assoluta necessità, per il ripristino dell’ordine eventualmente turbato, dovrà essere, possibilmente, sempre ordinato e diretto dai Sigg. Funzionari e dagli Ufficiali dell’Arma”. <963
Effettivamente, a partire dalla mattina del 4 dicembre si ebbero molti movimenti dei braccianti agricoli, che si diressero a occupare delle terre incolte, principalmente di proprietà di nobili <964.
Secondo una relazione del Gruppo esterno della Legione territoriale dei Carabinieri di Roma, essi erano dovuti intervenire in molte località: “1) Tenute lungo via Aurelia: Circa 40 elementi cooperativa Pisoniano invadevano tenuta “Gualdi” altezza km. 18 via Aurelia, abbandonandola successivamente seguito intervento Arma Castel di Guido; Altri 60-70 elementi medesima cooperativa Pisoniano hanno occupato terreno proprietà Banco S. Spirito via della Muratella – km. 22-28; Circa 120 braccianti cooperativa S. Vito Romano sostano km. 20 detta via Aurelia attesa disposizioni dirigenti, controllati Arma et P.S. 2) Tenute lungo via Casilina: Circa 50 elementi cooperativa Montecompatri et altri 400 elementi stessa cooperativa Montecompatri et Monteporzio successivamente affluiti at Km. 18 via Casilina per occupare terreni tenute Principessa Ercolani et Duca Grazioli hanno desistito proposito, allontanandosi località seguito intervento comandante tenenza Arma Casilina, cui si sono limitati indicare terreni di cui avrebbero preteso assegnazione. 3) Tenute lungo via Tiburtina: Circa 50 elementi cooperativa Italo Grimaldi – Settecamini hanno invaso tenuta Marchese Gerini km. 10 Tiburtina. Seguito intervento comandante stazione Ponte Mammolo hanno sgombrato terreno, lasciando memoria medesimo sottufficiale circa loro aspirazioni; Altri 20 elementi cooperativa Grimaldi hanno occupato 5 ettari terreno proprietà Bonanni km. 13 Tiburtina (Settecamini); 20 elementi sempre detta cooperativa hanno picchettato 10 ettari terreno incolto tenuta “Marco Simoni” proprietà Principe Brancaccio km. 18 Tiburtina (Settecamini). 4) Tenute lungo via Prenestina: […] Circa 50-60 elementi cooperativa Monteporzio Catone hanno picchettato in località Osa (Km. 15-16 Prenestina) tenuta Principessa Caravita, sgombrandola in seguito intervento Arma Stazione Tor Sapienza. 4) Tenute lungo via Ardeatina: Presenza forte contingente carabinieri tenenza S. Paolo habet indotto elementi provenienti Marino at desistere ogni tentativo occupazione tenuta “Falcognane” – F.lli Lanza – Divino Amore”. <965
Nonostante questi interventi delle forze dell’ordine, il 4 dicembre, furono occupate anche altre terre. Secondo Pòlito, interventi tempestivi, effettuati dalle forze locali di polizia, hanno consentito di controllare la situazione generale e sono valsi, in molti casi, a scongiurare le invasioni delle terre cosiddette incolte. Pur tuttavia, in alcune zone, gruppi di braccianti agricoli, forti del loro numero, non hanno aderito all’invito e alle diffide di desistere dall’azione illegale, e si sono recati ad effettuare occupazioni simboliche nelle seguenti località: 1°) verso le ore 8 di stamane, nella tenuta del Conte Manzolini, sita nella località “Palmarola Nova”, tra la borgata Ottavia e La Storta, al km. 14 di via Trionfale, circa 300 braccianti della Cooperativa “Pace e Lavoro”, di Ottavia, dopo aver scacciato il gregge, ivi pascolante, hanno occupato e picchettato un appezzamento di terreno. Per il ripristino dell’ordine e della legalità, è stato inviato sul posto una colonna autocarrata di guardie e carabinieri […]; 3°) le Tenute, site nella Borgata di Torre Gaia, sulla via Casilina, sono state occupate da circa 400 braccianti, provenienti da Montecompatri e Monteporzio. Il Tenente dei CC. della Tenenza Casilina, portatosi sul posto con adeguati rinforzi, ha fatto allontanare, senza necessità di intervento in forza, gli occupanti abusivi, invitandoli a seguire la via legale per ottenere l’invocata concessione delle terre; […] 9°) Terreno in località “Pontemammolo” è stato simbolicamente occupato da circa 50 braccianti, ma, mentre ne effettuavano il picchettamento, gli stessi sono stati allontanati dalle forze di polizia che hanno rimosso i picchetti; […] 13°) due colonne, provenienti da Monteporzio Catone, si sono portate in località “Finocchio”, e quivi, dopo aver fatto constatare all’Ufficiale dell’Arma presente sul posto che i terreni, che avevano intenzione d occupare, risultano incolti, hanno fatto ritorno ai rispettivi comuni; 14°) verso le ore 12,30 una colonna di forze di polizia al comando di funzionario di questo Ufficio Politico (Dr. Fontana) ha impedito l’occupazione della tenuta di proprietà Giorgi – di Monforte, sita sulla via Salaria, in prossimità di Roma; 15°) verso le ore 13,15, altre forze di polizia, al comando del Dr. Laurenziano, hanno disperso circa 300 contadini, che si accingevano ad invadere la tenuta del Notaio Balzi, sita in località Casteldiguida, sulla via Aurelia – km. 19 – nell’operazione sono state fermate 15 persone sprovviste di documenti di riconoscimento. Altri 20 fermi sono stati operati tra i braccianti, che avevano occupato la tenuta Manzolini, al km. 14 della via Trionfale, e che sono stati estromessi da una colonna di forze di polizia, diretta dal Commissariato di P.S. Dr. Angilella <966.
In una comunicazione successiva, Pòlito affermò che nella tenuta del conte Manzolini di Palmarola Nova, i picchetti degli occupanti erano stati rimossi senza incidenti, erano stati fermati ventitré di essi, tra cui quattro donne, ed erano stati portati in questura. Un nuovo tentativo pomeridiano di occupazione della tenuta Giorgi-Monfort, condotto da circa centocinquanta contadini guidati dai dirigenti della Federterra e dell’Anpi, era stato evitato, ed erano stati fermati sei dei dirigenti <967.
Il 5 dicembre risultavano ancora occupate solo la tenuta del Pio Istituto Santo Spirito al km 14 della via Aurelia, la proprietà Balsi, al km 17 della via Aurelia, la proprietà Lancillotti al km 10 della via Boccea, la proprietà dei fratelli Piscini in località Centrone (via della Muratella), dove una settantina di persone sostavano all’interno della tenuta <968: sia i terreni dell’Istituto di Santo Spirito sia quelli della tenuta Centrone erano stati occupati dopo una prima estromissione degli occupanti <969. Il 6 dicembre, i carabinieri allontanarono gli occupanti della tenuta Centrone, procedendo al fermo di tre «sobillatori» <970. Secondo la Camera del Lavoro, il 6 dicembre «a Ottavia come a Fiano e Torlupara sono stati operati arresti di 15 contadini che lavoravano la terra. Alcuni occupanti di Pisoniano, arrestati dalla celere e portati a Roma, non appena rilasciati sono immediatamente ritornati sulla terra e ne hanno continuato la lavorazione» <971.
In queste operazioni, come messo in luce anche da un articolo del «Tempo» <972, furono fermate molte persone. In un articolo sull’«Unità», che riprendeva un comunicato della Federterra, si denunciarono «le violenze delle forze di polizia, impiegate bestialmente ed in modo massiccio contro contadini inermi, rei solo di voler mettere a coltura terre da decenni incolte per l’egoismo di pochi sfruttatori» <973.
Anche nella giornata del 6, continuarono i tentativi di occupazione: un gruppo di braccianti della Cooperativa Carpici tentò di invadere una proprietà del barone Lazzaroni a Tor di Quinto ma si allontanò al sopraggiungere dei carabinieri; alcuni contadini di Castel Madama, allontanati dalla tenuta Marcigliana del duca Grazioli di via Salaria km 14, ritornarono nei pressi della tenuta, accampandosi in una grotta lì vicino; un gruppo di braccianti invase la tenuta Anzillotti, al km 10 di via Boccea, ma i carabinieri sgomberarono il terreno, fermarono nove persone e sequestrarono due trattori <974.
Nella mattinata del 7 dicembre, gruppi di braccianti – secondo Pòlito «molto meno numerosi di quelli dei giorni scorsi» <975 – si diressero verso i territori già occupati nei giorni precedenti. In gran parte, furono allontanati dalle forze di polizia prima di poter procedere alle occupazioni. Carabinieri e polizia sgomberarono i contadini della Cooperativa Pisoniano sia dalla tenuta Centrone (arrestando venti persone secondo i carabinieri <976, ventisette – «dimostratesi le più riottose all’invito di allontanamento» <977 – secondo il questore) e dalla tenuta Testa di Lepre del principe Doria (fermandone otto). I carabinieri della tenenza di Montesacro, inoltre, sgomberarono la tenuta Marcigliana del duca Grazioli Lante da circa cento braccianti della tenuta Castel Madama, che vi avevano iniziato la semina: quaranta furono fermati, mentre gli altri sessanta, in prevalenza donne e minori, furono ricondotti a Tivoli <978.
Secondo Aldo Natoli, intervistato dall’«Unità», l’atteggiamento delle forze dell’ordine durante questi episodi di sgombero, per quanto teso a scongiurare ulteriori eccidi dopo quelli di Melissa e Torremaggiore, non era stato certamente paterno: «Non c’è dubbio, per esempio, che l’uso del mitra debba essere stato per lo meno sconsigliato. In compenso, però, i solerti funzionari della Questura di Roma hanno escogitato una tattica complessa, come se conducessero contro i braccianti una vera e propria guerriglia, anche se con l’esclusione, fino a questo momento, della armi da fuoco. Sono stati operati in questi giorni centinaia di fermi, con una tecnica che ricorda quella del prelevamento degli ostaggi, o le razzie tedesche. Gruppi di braccianti, uomini e donne, vengono sistematicamente rastrellati, caricati su camions, trasportati a Roma e poi abbandonati a piccoli gruppi, qua e là, in luoghi diversi, allo scopo di sbandarli e disperderli. […] Altre volte la polizia compie veri e propri ratti» <979.
[NOTE]
953 Perna, Dalla liberazione di Roma ai movimenti di massa per la terra, l’occupazione, la democrazia e la pace, cit., pp. 45 6.
954 G. Settimi, L’attacco contro il latifondo in provincia di Roma, in Il movimento contadino nella storia del Lazio, 1945-1975, Atti del convegno indetto dall’Alleanza contadini del Lazio (Roma, 30 ottobre 1975), p. 101.
955 Santarelli, Storia critica della Repubblica, cit., p. 71.
956 Cfr. Ginsborg, Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi, cit., pp. 160-87, Turone, Storia del sindacato in Italia, cit., pp. 173-8 e Malgeri, La stagione del centrismo, cit., pp. 98-109. Sulla posizione del Pci nei confronti del bracciantato agricolo e delle sue richieste, cfr. Ivi, pp. 98-9 e Gozzini, Martinelli, Storia del Partito comunista italiano, VII, cit., pp. 84-106.
957 Lanaro, Storia dell’Italia repubblicana, cit., p. 228.
958 Acs, Mi, Ps, 1949, b. 49, f. “Roma – Lavoratori agricoli”. Passim.
959 Agosti, Togliatti, cit., p. 380.
960 Ibidem.
961 Acs, Mi, Ps, 1949, b. 68, f. “Roma – Agitazioni”, s. 6 “Lavoratori agricoli”. Comunicazione di Trinchero del 14 novembre 1949 riportata in una circolare di Pòlito del 22 novembre 1949. Pòlito diede ordini netti su come reprimere tali possibili occupazioni: «Le SS.LL. esperimenteranno dapprima tutti i mezzi persuasivi per scongiurare azioni di violenza o, comunque, illegali, e soltanto in caso di palesata resistenza, agiranno con la dovuta energia, a termini di legge, contro autori e promotori» (Ibidem).
962 Tozzetti, La casa e non solo, cit., p. 31.
963 Acs, Mi, Ps, 1949, b. 68, f. “Roma – Agitazioni”, s. 6 “Lavoratori agricoli”. Circolare di servizio di Pòlito del 3 dicembre 1949.
964 Da 48 ore i braccianti occupano le terre incolte dei principi romani, «l’Unità», 6 dicembre 1949.
965 Acs, Mi, Ps, 1949, b. 68, f. “Roma – Agitazioni”, s. 6 “Lavoratori agricoli”. Comunicazione del Gruppo esterno della Legione Territoriale dei Carabinieri del 4 dicembre 1949.
966 Ivi. Comunicazione di Pòlito del 4 dicembre 1949.
967 Ibidem
968 Ivi. Comunicazione del Gruppo Esterno della Legione territoriale dei carabinieri di Roma del 5 dicembre 1949.
969 Ivi. Comunicazione di Pòlito del 5 dicembre 1949.
970 Ivi. Comunicazione del Gruppo esterno della Legione Territoriale dei Carabinieri di Roma del 6 dicembre 1949.
971 Archivio storico Cgil Lazio, Cdl Roma, Comunicati, 1949. Comunicato del 6 dicembre 1949.
972 Numerosi fermi in periferia per l’occupazione di terre, «Il Tempo», 7 dicembre 1949.
973 18000 contadini arano i latifondi dell’Agro nonostante la Celere e le cariche di cavalleria, «l’Unità», 7 dicembre 1949. Il comunicato e l’articolo si riferiscono a tutta la Provincia, non solo al Comune di Roma. Gli incidenti più gravi, secondo il quotidiano comunista, si sarebbero verificati a Monterotondo, dove gli occupanti sarebbero stati caricati dalla polizia a cavallo. Secondo una comunicazione di Pòlito, invece, erano stati inviati sul posto «una colonna di Forze di Polizia ed un plotone di Carabinieri a cavallo», ma «all’arrivo della colonna sul posto gli occupanti si sono allontanati» (Acs, Mi, Ps, 1949, b. 68, f. “Roma – Agitazioni”, s. 6 “Lavoratori agricoli”. Comunicazione di Pòlito del 6 dicembre 1949).
974 Ibidem.
975 Ivi. Comunicazione di Pòlito del 7 dicembre 1949.
976 Ivi. Fonogramma della Legione territoriale dei Carabinieri di Roma del 7 dicembre 1949, ore 18.
977 Ivi. Comunicazione di Pòlito del 7 dicembre 1949.
978 Ivi. Fonogramma della Legione territoriale dei Carabinieri di Roma del 7 dicembre 1949, ore 18.
979 Alla guerriglia condotta dalla Polizia rispondono arando la terra occupata, «l’Unità», 8 dicembre 1949. Qualche giorno prima, un articolo di Luca Pavolini aveva invece descritto con toni più pacati l’atteggiamento dei carabinieri: «Gruppetti di carabinieri hanno seguito le colonne in marcia e sono rimasti sui margini dei campi a guardare le lavorazioni. Qualcuno di loro, nei paesi vicini, aveva il padre o il fratello impegnato ad occupare altre terre. Solo in qualche punto i carabinieri sono intervenuti. […] I carabinieri – così come aveva assistito alle pacifiche occupazioni – hanno assistito anche alle razzie dei “celerini”. “Li comandano, che devono fare?”, ci diceva un maresciallo panciuto, pieno d’esperienza e di capelli grigi» (Da 48 ore i braccianti occupano le terre incolte dei principi romani, «l’Unità», 6 dicembre 1949).
Ilenia Rossini, Conflittualità sociale, violenza politica e collettiva e gestione dell’ordine pubblico a Roma (luglio 1948-luglio 1960), Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, Anno Accademico 2014-2015

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Camuffati da poliziotti e civili attaccarono il corteo collasgarba2.altervista.org/ca
Nel maggio 1963 il Capo della polizia italiana Angelo Vicari aveva disposto un rafforzamento dei piani per il controllo dell’ordine pubblico. Inoltre, insieme al Ministro dell’Interno Scelba ideò una circolare che riguardava il cosiddetto “Piano E-S” (Emergenza-Speciale) <34. In caso di conflitto armato interno, si sarebbe provveduto a sospendere le

Il 2 maggio 1978 OP offrì un’ampia analisi politica della situazione italiana

Il dossier di «Op» Diario dell’irreale assoluto del 25 aprile 1978, descrisse gli avvenimenti nei cinque giorni che intercorsero tra il sesto comunicato Br ed il settimo. Pecorelli dedicò ampio spazio anche al falso comunicato brigatista del 18 aprile 1978, contenente l’annuncio dell’avvenuta esecuzione di Aldo Moro e le istruzioni per il ritrovamento del corpo presso il Lago della Duchessa, in provincia di Rieti <240. Un enorme dispiegamento di forze alla ricerca del cadavere di Moro che lo stesso presidente democristiano, nel suo memoriale, definì «la macabra grande edizione sulla mia esecuzione» <241.
“Un volantino anomalo, rachitico, frettoloso e recapitato in una sola città contrariamente ai precedenti, annuncia l’avvenuta esecuzione per suicidio di Aldo Moro, ed il suo seppellimento in un laghetto di montagna. I leader dei partiti, sempre più accasciati e con un che di ambiguo disorientamento, dispongono, pur nell’incertezza sull’attendibilità del messaggio, le ricerche. La via per il lago segnalata risulta impraticabile da terra a causa della neve e del gelo degli ultimi giorni. Si muovono elicotteri che depositano sciatori, esperti anti-valanghe e sommozzatori sul lago, il quale risulta oltre che coperto di neve fresca priva di impronte, anche totalmente ghiacciato. Non rimane che perforarlo, e senza alcun esito. Si dirottano le ricerche su un altro laghetto poco distante, che presenta caratteristiche meno ostiche e improbabili. Nulla” <242.
L’articolo collegò il falso comunicato con la scoperta del covo Br di via Gradoli, avvenuta lo stesso giorno. Per il giornalista si tratto di un’unica operazione accuratamente pilotata <243. Il rifugio venne scoperto grazie ad una fuga d’acqua, che secondo i vigili del fuoco sembrò essere stata volutamente provocata: uno scopettone era stato appoggiato sulla vasca, sopra ad esso qualcuno aveva posato il telefono della doccia in modo che l’acqua si dirigesse verso una fessura nel muro. Anche secondo Alberto Franceschini, ex Br, la vicenda del Lago della Duchessa e di via Gradoli andrebbero tenute insieme. Fu un messaggio preciso a chi deteneva Moro, per avvisare le Br che lo Stato avrebbe potuto catturarli in qualsiasi momento. Un’ulteriore ipotesi avvalorerebbe l’idea che il covo sia stato fatto scoprire appositamente da qualche brigatista contrario all’uccisione di Moro. Recentemente Steve Pieczenik, il consigliere americano chiamato al fianco di Francesco Cossiga per risolvere lo stato di crisi, nel libro “Abbiamo ucciso Aldo Moro. Dopo 30 anni un protagonista esce dall’ombra” di Emmanuel Ammara <244, ammise la sua responsabilità in accordo, con Cossiga, nella creazione di un falso comunicato.
Si rileva il dubbio di Pecorelli sulla vicenda grazie all’articolo “Le allucinanti avventure degli investigatori”. Il giornalista, infatti, scrisse «Brigate rosse» e «terroristi» tra virgolette, quasi a voler insinuare il dubbio riguardo ai veri autori di tale scritto. “Ricevuta la copia del volantino delle “Brigate rosse” con il quale “i terroristi”, comunicavano la località dove sarebbe stato abbandonato il corpo di Aldo Moro, gli inquirenti si precipitano agli elicotteri messi a disposizione della Polizia e dei Carabinieri per raggiungere nel più breve tempo possibile la zona della Duchessa” <245.
Il 20 aprile 1978 le Brigate rosse annunciarono, nel vero comunicato numero sette, che la condanna di Moro sarebbe stata eseguita, lasciando uno specchio di ventiquattro ore per il possibile scambio di prigionieri. Pecorelli raccontò quelle ore di ultimatum nell’articolo del 25 aprile, “La ventiquattresima ora”.
“Siamo costretti a chiudere il numero mentre mancano ancora 24 ore alla scadenza dell’ultimatum delle Br. Trattare o non trattare? Sentiamo ripetere che lo Stato è in preda al dilemma. Ma il dilemma presuppone una scelta. In questo caso lo Stato, cioè la Dc e il Pci, si impediscono a vicenda di scegliere. La Dc vive un dramma nel dramma. Partito di cattolici, dovrebbe anteporre il rispetto della vita alle ragioni della politica. Solo una minoranza di democristiani sembra decisa a non sacrificare la vita del suo presidente. Se la Dc è divisa, gli altri partiti lo sono altrettanto” <246.
Il 2 maggio 1978, ad una settimana dal futuro ritrovamento del corpo di Aldo Moro in via Caetani, «Osservatore politico» offrì un’ampia analisi politica della situazione italiana nell’articolo “Il Paese si può e si deve salvare”, cercando di dare un significato al rapimento ed immaginando le possibili ripercussioni di tale vicenda sul Paese. L’Italia apparse disorientata: comprese di vivere un momento politico cruciale tuttavia, secondo il giornalista, non riuscì ad andare oltre questa accettazione. Offrì, inoltre, una nuova interpretazione dell’eurocomunismo d’un partito scomodo ad entrambe le superpotenze mondiali.
“L’agguato di via Fani porta il segno di un lucido superpotere. La cattura di Moro rappresenta una delle più grosse operazioni politiche compiute negli ultimi decenni in un Paese industriale, integrato nel sistema occidentale. L’obbiettivo primario è senz’altro quello di allontanare il Partito comunista dall’area del potere nel momento in cui si accinge all’ultimo balzo, alla diretta partecipazione al governo del paese. È comune interesse delle due superpotenze mondiali mortificare l’ascesa del Pci, cioè del leader del comunismo che aspira a diventare democratico e democraticamente guidare un Paese industriale. Ciò non è gradito agli americani, perché altererebbe non solo gli equilibri del potere economico nazionale ma ancor più i suoi riflessi nel sistema multinazionale. Ancor meno è gradito ai sovietici. Con Berlinguer a Palazzo Chigi, Mosca correrebbe rischi maggiori di Washington. La dimostrazione storica che un comunismo democratico può arrivare al potere grazie al consenso popolare, rappresenterebbe non soltanto il crollo del primato ideologico del Pcus sulla III Internazionale, ma la fine dello stesso sistema imperiale moscovita. Ancora una volta la logica di Yalta è passata sulle teste delle potenze minori. È Yalta che ha deciso via Mario Fani” <247.
In previsione delle elezioni amministrative del 14 maggio, l’analisi politica continuò nei successivi articoli. Sebbene Pecorelli fosse convinto dell’imminente liberazione del leader democristiano <248, descrisse le varie possibilità di governo nel caso della liberazione di Moro o dell’esecuzione della sentenza del carcere del popolo. In questi articoli Pecorelli si domandò quanto avrebbe potuto influire e che ruolo avrebbe avuto il sequestro sull’opinione pubblica, divisa tra gli schieramenti favorevoli alla trattativa, il Psi di Craxi in primis, e quelli contrari ad ogni dialogo come la Dc o lo stesso Pci.
“Se Moro dovesse morire prima delle elezioni del 14 maggio, il Psi potrebbe affermare che è stata l’intransigenza dei democristiani e dei comunisti ad aver provocato il drammatico epilogo. Quale sarà allora la reazione dell’elettore Dc medio? Egli sa che sono stati gli sforzi di Moro a permettere l’ingresso del Partito comunista al governo, da ciò potrà dedurre che la Democrazia cristiana ha pagato un prezzo troppo alto se poi questo governo non è riuscito a salvare il suo presidente <249. Poniamo invece che Moro possa uscire vivo dall’avventura del sequestro. A maggior ragione gli uomini della Dc, il Vaticano, gli osservatori esterni, porterebbero eterna riconoscenza a Craxi. L’unico leader che dicendosi disposto a trattare ha consentito alle istituzioni il superamento di un difficile scoglio <250. Nel primo caso (Moro morto), sotto la spinta dell’elettorato medio, probabilmente gli attuali dirigenti Dc potrebbero essi stessi guidare il ritorno al rapporto preferenziale col Partito socialista. Nella seconda ipotesi ciò è escluso tassativamente: la Democrazia cristiana dovrà passare attraverso un travagliato e penoso processo di rinnovamento” <251.
[NOTE]
240 Il 18 aprile 1978 venne diffuso un falso comunicato, contenente l’annuncio dell’avvenuta esecuzione di Aldo Moro. Venne indicato il luogo dove trovare il cadavere del presidente democristiano, nei fondali del Lago della Duchessa in provincia di Rieti. Un comunicato falso che il Viminale dichiarò autentico, FLAMIGNI, Le Idi di marzo, p. 281.
241 Ivi, p. 284.
242 Diario dell’irreale assoluto. Lunedì 17 e martedì 18 aprile: la presunta esecuzione e la troppo inequivocabile scoperta del covo, «Osservatore politico», 25 aprile 1978.
243 «L’infiltrazione d’acqua fu una manovra deliberatamente attuata per provocare la scoperta del covo Br di via Gradoli 96 senza che ciò provocasse l’arresto di alcun brigatista. La teatrale scoperta del covo venne sincronizzata con la diffusione del comunicato Br del Lago della Duchessa. E se la scoperta del covo era chiaramente pilotata, il comunicato numero sette era palesemente falso», FLAMIGNI, Il covo di Stato. Via Gradoli 96 e il delitto Moro, Kaos 1999, p. 49.
244 EMMANUEL AMMARA, Abbiamo ucciso Aldo Moro. Dopo 30 anni un protagonista esce dall’ombra, Cooper, Roma 2008.
245 Diario dell’irreale assoluto. Le allucinanti avventure degli investigatori, «Osservatore politico», 25 aprile 1978.
246 La ventiquattresima ora, «Osservatore politico», 25 aprile 1978.
247 Yalta in via Mario Fani, Ivi, 2 maggio 1978.
248 «A questo punto è lecito, più che un’ipotesi, formulare una logica e razionale previsione. A nostro avviso, non solo Moro non sarà soppresso dai suoi rapitori, ma è da ritenersi imminente la sua liberazione che sarà seguita da cerimonie trionfali e festeggiamenti popolari paragonabili solo all’incoronazione di Napoleone», Brigate rosse, arcangeli sterminatori arcangeli purificatori, «Osservatore politico», 2 maggio 1978.
249 Se Moro muore, voti alle colombe, Ibidem.
250 Se Moro vive, voti alle colombe, Ibidem.
251 In entrambi i casi la Dc dovrà cambiare linea, Ibidem.
Giacomo Fiorini, Penne di piombo: il giornalismo d’assalto di Carmine Pecorelli, Tesi di laurea, Università degli Studi di Padova, Anno accademico 2012-2013

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Il Piano Solo prende nome dall’ipotesi di utilizzare solo unità di carabinieri

Le elezioni politiche del 28 aprile 1963 rivelano una leggera radicalizzazione delle preferenze politiche degli italiani. La DC scende per la prima volta sotto il 40 per cento, ottenendo il 38,3 per cento dei voti rispetto al 42,4 di cinque anni prima. I maggiori beneficiari della flessione democristiana sono i liberali, la cui coerente opposizione al Centro Sinistra permette di conseguire un aumento dal 3,5 al 7 per cento. A Destra i monarchici scompaiono (dal 4,9 all’1,7 per cento) ed il MSI sale pochissimo (dal 4,8 al 5,1 per cento). A sinistra il PSDI viene premiato dalla sua partecipazione al Governo Fanfani con un incremento dell’1,5 (dal 4,6 al 6,1 per cento), mentre il PSI cala impercettibilmente (dal 14,2 al 13,8 per cento). La sconfitta della Democrazia Cristiana indica un rifiuto alla politica di centrosinistra, unico elemento chiaro visibile dalle indicazioni elettorali, ma, dopo l’avventura di Tambronì, Moro e i dorotei sono decisi a continuare l’alleanza con socialisti, anche se in una forma più moderata. Le trasformazioni del paese già maturate negli anni precedenti spingono il partito cattolico a mantenere il timone a sinistra
per garantirsi il radicamento nei nuovi ceti sociali urbani emergenti, rispetto al vecchio mondo contadino in declino.
Nel mese di luglio, il Presidente americano John F. Kennedy giunge in Italia in visita ufficiale. Dopo una serie di incontri con tutti i segretari di partito e gli esponenti politici di maggior rilievo, la linea dell’apertura a sinistra viene pienamente confermata. L’appoggio statunitense alla svolta politica italiana si rivela ancora una volta contraddittoria. Kennedy, impegnato nel controllo della situazione interna che sta progressivamente sfuggendogli di mano, non può garantire un sostegno deciso al progetto. Accanto alle operazioni politiche dei collaboratori diretti della Casa Bianca, si sviluppano i piani di guerra non ortodossa in chiave anticomunista palese, che avrebbero avuto un peso notevole sul futuro dei Paese.
Nell’ottobre 1963, dopo il XXXV Congresso, il PSI è pronto a formare un nuovo Governo con i democristiani. Moro diviene Presidente Consiglio e Nenni vice Presidente. Il Dicastero del Bilancio è affidato ad Antonio Giolitti. Lombardi rifiuta la poltrona ministeriale. La partecipazione ad un Esecutivo moderato provoca una spaccatura all’interno del PSI, la corrente di estrema sinistra rifiuta di votare la fiducia e, sottoposta a provvedimenti disciplinari, di li a poco uscirà dal partito (31).
Il compromesso faticosamente raggiunto non possiede elementi duraturi. La destra è sempre più aggressiva verso i socialisti, mentre potentati economici, dall’industria all’edilizia, ed i baroni della finanza dei vecchi gruppi elettrici, scatenano un’offensiva non di poco conto. Le concessioni di Moro sul piano delle riforme – la riforma scolastica e la riforma urbanistica, meno radicale di quella di Sullo – preoccupano in modo considerevole gruppi conservatori ostili a qualsiasi forma di cambiamento. A giugno, dopo uno scontro parlamentare sulla riforma scolastica, Moro si dimette. Il Presidente della Repubblica Antonio Segni lo incarica di formare un nuovo governo, ma i negoziati sembrano prolungarsi all’infinito. Il 15 luglio viene convocato al Quirinale il Generale De Lorenzo, Comandante dell’Arma dei Carabinieri. L’evento, assolutamente anomalo, si verifica il giorno dopo la temporanea interruzione delle consultazioni tra i quattro partiti di centrosinistra e acquista quindi un significato polìtico tale da far parlare di un colpo di stato ‘virtuale’, nel senso di una vera e propria minaccia che viene fatta pesare sul capo dei dirigenti politici; una forzatura insomma delle decisioni da assumere. Il pericolo in cui versano le istituzioni repubblicane costringe Nenni a moderare la sua intransigenza, portandolo al reingresso nel nuovo esecutivo, senza nessun vantaggio rispetto al precedente governo. “Improvvisamente i partiti e il Parlamento hanno avvertito che potevano essere scavalcati. La sola alternativa […] è stata quella d’un Governo d’emergenza, affidato a personalità così dette eminenti, a tecnici, a servitori disinteressati dello Stato, che nella realtà del paese qual è, sarebbe stato il Governo delle Destre, con un contenuto fascistico-agrario-industriale, nei cui confronti il ricordo del luglio 1960 sarebbe impallidito” (32).
Una Commissione parlamentare d’inchiesta sintetizza così i fatti: “Nella primavera-estate del 1964 il generale De Lorenzo, quale comandante dell’Arma dei carabinieri, al di fuori di ordini o direttive o semplici sollecitazioni provenienti dall’autorità politica, e senza nemmeno darne notizia, ideò e promosse l’elaborazione di piani straordinari da parte delle tre divisioni dell’Arma operanti nel territorio nazionale. Tutto ciò nella previsione che l’impossibilità di costituire un governo di centrosinistra avrebbe portato a un brusco mutamento dell’indirizzo politico, tale da creare gravi tensioni fino a determinare una situazione d’emergenza” (33).
E’ il cosiddetto “Piano Solo”. Prende nome dall’ipotesi di utilizzare solo unità di carabinieri per affrontare possibili emergenze. Il piano prevede un insieme di iniziative tra cui l’occupazione della RAI-TV, il controllo delle centrali telefoniche e telegrafiche, il fermo di numerosi esponenti della vita nazionale. Bruno Trentin, ex Segretario Generale della CGIL, ricorda: “Che ci sia stato un clima di forte tensione e anche di allarme, non solo nei partiti della sinistra, ma anche nel movimento sindacale è indubbio. Come è vero che vi sono stati giorni in cui dirigentí sindacali erano, almeno nella CGIL, in situazione di preallarme e avevano provveduto in alcuni casi a trovare delle seconde abitazioni. Che siano state utilizzate, francamente non ne ho conoscenza, a parte qualche caso sporadico” (34).
Lo scandalo del ‘Piano Solo’ scoppierà un paio d’anni più tardi e si concluderà con la sostituzione di De Lorenzo nell’incarico di capo di stato maggiore dell’esercito, dopo che il generale avrà rifiutato la proposta del ministro della Difesa, Tremelloni, di dimettersi. La polemica tornerà a divampare in seguito a una querela per diffamazione aggravata contro il settimanale “L’Espresso”, diretto da Eugenio Scalfari, ‘reo’ di avere pubblicato un articolo di Lino Jannuzzi dal titolo “Finalmente la verità sul SIFAR. 14 luglio 1964: complotto al Quirinale. Segni e De Lorenzo preparano un colpo di Stato”. Racconta il giornalista: “Il governo e lo stesso presidente della Repubblica smentirono le nostre rivelazioni. Il generale De Lorenzo ci querelò e il tribunale, a cui il governo aveva rifiutato i documenti con la scusa del segreto militare, ci condannò. Ma intanto il Parlamento aveva deciso di fare su tutta la questione un’inchiesta parlamentare. Per la prima volta nella storia d’Italia il Parlamento poté mettere il naso nelle cose segrete del mondo militare. Questa commissione, sia pure sfumando e censurando alcune cose, accertò che i fatti erano veri” (35).
La Commissione Parlamentare d’inchiesta sul terrorismo in Italia nella proposta di relazione redatta dal Presidente Giovanni Pellegrino, spiega “che la valenza e la destinazione funzionale del Piano non può cogliersi astraendosi da un lato dalla considerazione che il piano non fu mai attuato, sicché si è in presenza – come già per Gladio – di una sostanziale potenzialità operativa; dall’altro dalla circostanza che ciò malgrado sembra difficile negare che la predisposizione del piano ebbe un’indubbia influenza sugli esiti della vicenda politica nell’estate del 1964. Sul punto, in altri termini appare improduttivo alla Commissione indugiare sulla “realtà” di un progetto golpista da parte del generale De Lorenzo (e cioè domandarsi se si tratta di una minaccia reale, poi non realizzata per motivi che resterebbero oscuri, dato che di essa si ebbe notizia solo alcuni anni dopo) – ovvero se non vi sia stato nulla di tutto ciò ma soltanto un improvvido attivismo del generale; un maldestro eccesso di zelo la cui importanza sarebbe stata a torto enfatizzata negli anni successivi. Più fondato appare alla Commissione riconoscere che a fondamento di una valutazione finale possano valere giudizi espressi sul punto da due protagonisti della vicenda politica e cioè da Nenni da un lato, Moro dall’altro, giudizi che, pure formulati a circa un quindicennio di distanza l’uno in condizioni diversissime, appaiono sostanzialmente coincidenti”.
Molti anni dopo, prigioniero delle Brigate Rosse, l’on. Moro avrebbe così descritto la vicenda: “Nel 1964 si era determinato uno stato di notevole tensione per la recente costituzione del centrosinistra […] per la nazionalizzazione dell’energia elettrica […], per la crisi economica che per ragioni cicliche e per concorrenti fatti politici si andava manifestando. Il presidente Segni, uomo di scrupolo, ma anche estremamente ansioso, tra l’altro, per la malattia che avrebbe dovuto colpirlo da lì a poco, era fortemente preoccupato. Era contrario alla politica di centrosinistra. Non aveva particolare fiducia nella mia persona che avrebbe volentieri cambiato alla direzione del Governo. Era terrorizzato da consiglieri economici che gli agitavano lo spettro di un milione di disoccupati di lì a quattro mesi. […] Fu allora che avvenne l’incontro con il generale De Lorenzo [….]. Per quanto io so il generale De Lorenzo evocò uno dei piani di contingenza, come poi fu appurato nell’apposita Commissione parlamentare di inchiesta, con l’intento soprattutto di rassicurare il Capo dello Stato e di pervenire alla soluzione della crisi” (36). E’ un giudizio che viene ulteriormente precisato, nel corso del memoriale, laddove può leggersi: “il tentativo di colpo di Stato nel ’64 ebbe certo le caratteristiche esterne di un intervento militare, secondo una determinata pianificazione propria dell’Arma dei Carabinieri, ma finì per utilizzare questa strumentazione militare essenzialmente per portare a termine una pesante interferenza politica rivolta a bloccare o almeno fortemente dimensionare la politica di centrosinistra, ai primi momenti del suo svolgimento” (37).
Queste valutazioni sostanzialmente coincidono con quelle espresse da Nenni nell’immediatezza dei fatti (vedi nota 32): unica alternativa ad una riedizione dei governo di centrosinistra era quella di un Governo di emergenza, affidato a tecnici, che nella realtà del Paese quale era, avrebbe avuto il sostegno delle destre ed avrebbe attivato una situazione di tensione. “Non sembra dubbio alla Commissione che il Piano Solo era destinato ad acquisire attualità operativa appunto in previsione di tale evenienza, con modalità che si ponevano al di fuori dell’ordinamento costituzionale. Così come è indubbio che la percezione in sede politica di tale possibile evenienza valse a determinare, come Moro esattamente noterà quindici anni più tardi, un forte ridimensionamento della politica di centrosinistra ai primi momenti del suo svolgimento. Né vi è dubbio che ciò corrispondesse agli interessi perseguiti da settori dell’amministrazione statunitense (o cioè il depotenziamento del centro sinistra, così esorcizzando le preoccupazioni nutrite da ampi strati del ceto dirigente e imprenditoriale italiano) e che si situava all’interno di un disegno strategico più ampio di ‘stabilizzazione’ del quadro politico italiano, rispetto al quale un’involuzione autoritaria costituiva esito estremo e non gradito” (38).
[NOTE]
(31) Nel gennaio 1964, trentotto deputati e senatori abbandonano il partito per creare il PSIUP. In un intervento in Parlamento Lelio Basso afferma: “Una sola cosa non si può fare ed è quella di sacrificare l’autonomia del movimento operaio, di subordinare scelte politiche al disegno organico della classe dominante. Ed è invece proprio questo disegno organico che noi vediamo nel Governo Moro”
(32) Riflessioni di P. Nenni sull’Avanti, 26 Luglio 1964.
(33) S. Zavoli, La notte della Repubblica, I libri dell’Unità, Roma 1994, pag.21
(34) ibidem pag.22
(35) ibidem pag.22
(36) F.M. Biscione, Il Memoriale di Aldo Moro, rinvenuto in via Montenevoso a Milano, Coletti, Roma 1993, pag.45
(37) ibidem, pag.46
38) G. Pellegrino, Proposta di Relazione, Il Terrorismo, le stragi e il contesto storico-politico, pag.86,87, Roma 1994.
Lorenzo Pinto, Le “stragi impunite”. Nuovi materiali documentari per una ricerca sulla strategia della tensione, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, Anno Accademico 1996-1997

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Il nemico investì poi, il 25 marzo, la valle Maira casamaini.altervista.org/il-ne
Le valli di Lanzo furono investite per prime, il 7 marzo [1944]. I distaccamenti partigiani che vi operavano, con una forza complessiva di circa 350 uomini, attaccati da contingenti nemici dieci volte più numerosi e con un armamento senza confronti superiore, riuscirono a sganciarsi non senza danni. Ma si riordinarono quasi subito, ed anzi nelle […]
L'articolo Il

Sempre in ottobre due nuovi distaccamenti partigiani furono istituiti ad Albisola collasgarba2.altervista.org/se
Si giunse così, il giorno 7, alla creazione della prima brigata autonoma della Resistenza savonese: la Brigata Savona, intitolata ad Adriano Voarino, ventenne savonese ucciso a San Michele di Mondovì il 1° marzo <62. La brigata venne fondata a seguito di un accordo, senz’altro preceduto da

Un dimenticato protagonista della Resistenza nel ponente ligure #partigiani
Sentenza nella causa penale contro Gepponi Antonio di Amerigo e di Odino Giuseppina, nato a Ventimiglia il 16.7.1922, ivi domiciliato
Detenuto - presente
Imputato
[...] partecipando in concorso con altri dal gennaio al marzo 1945 a rastrellamenti nelle zone di Seborga, Bajardo, Perinaldo, Vallebona, Vallecrosia, Neggi e Soldano per la ricerca dei renitenti alla leva e di disertori della cosiddetta repubblica sociale italiana nonché di patrioti. Reato punibile a sensi dell'art. 112 C.P. e 58 C.P.G.M.
[...] Riferiva il comando di polizia di Bordighera che Gepponi Antonio era stato arrestato il 25 aprile 1945 poiché faceva parte del distaccamento della brigata nera di Bordighera, che risultava di aver egli preso parte a numerosi rastrellamenti [...] Aggiungeva il rapporto che l'imputato aveva preavvisato al maggiore Raimondo, ricercato dalle SS tedesche, di porsi in salvo e a tale Lippi di Bordighera della classe 1923 quando i rastrellamenti dovevano essere compiuti [...] dichiarava di avere preso parte a diversi rastrellamenti, di aver concorso a fermare renitenti alla leva, disertori e patriotti, ma senza sottoporli a sevizie e senza incrudelire, di essersi arruolato nella brigata nera per il bisogno, di avere sequestrato per ordine del comandante Bonfante [...]
La Corte Straordinaria d'Assise di Sanremo, documento in Archivio di Stato di Genova, copia di Paolo Bianchi di Sanremo
Il Raimondo al quale si accenna nella sopra citata sentenza Cas a carico di Antonio Gepponi, era Luigi Raimondo, maggiore degli alpini a riposo, che si incontra attivo nella Resistenza sia in occasione della Missione Flap che della prima Missione Corsaro. Raimondo, poi, aveva asserito (documento IsrecIm, copia di Giorgio Caudano), di essere stato incaricato dal capitano Gino Punzi di portare una radio ricetrasmittente a Vallecrosia, ma si può presumere che si trattasse di Bordighera, dove sia Giuseppe Porcheddu in Arziglia sia i Chiappa, padre e figli, sempre in Bordighera, nel loro garage situato quasi in centro città, risultano da diverse fonti essere stati coinvolti nella vicenda testè richiamata. Nella testimonianza, ancora, di Paolo "Pollastro" Loi (documento IsrecIm, copia di Giorgio Caudano, già parzialmente pubblicato in diverse opere sulla Resistenza Imperiese), nella parte mirata al racconto del suo arrivo ad aprile 1945 dalla Francia (con sbarco a Vallecrosia e prosecuzione dell'incarico - affidato al suo gruppo dagli alleati - di portare materiale ai garibaldini in montagna) si viene a sapere del suo incontro dalle parti della Valle Argentina con il maggiore Raimondo ormai in fuga. Infine, per la registrazione dell’atto di morte del capitano Punzi presso il comune di Ventimiglia (Dario Canavese di Ventimiglia: "l’ufficiale dello Stato Civile di Ventimiglia ricevette dal Tribunale di Sanremo, mediante copia di sentenza dell’11.08.1947, l’autorizzazione ad eseguire la compilazione tardiva dell’atto di morte") comparvero come testimoni Luigi Raimondo ed il figlio Mario, Mario Raimondo "Mariun", che si era a suo tempo speso, oltre che con il padre, anche con Efisio "Mare" Loi, a sua volta genitore del mentovato Paolo Loi e di Pietro Loi - quest'ultimo coinvolto nella menzionata Missione Flap ed in altre operazioni con gli alleati -, e Albino Machnich, nella raccolta di informazioni militari.

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